Commento al Vangelo del 9/04/’09

7 Apr

Vangelo: Gv 13,1-15. Messa della Cena del Signore. “L’istituzione della nuova alleanza nel sangue di Cristo”. Attraverso queste parole ci viene offerto l’elemento unificatore delle letture di questa suggestiva celebrazione della Cena del Signore.

La prima lettura, dal libro dell’Esodo, ci espone minuziosamente i preparativi della cena pasquale, nella quale si sacrificava e si consumava l’agnello attraverso l’esecuzione di un rituale molto dettagliato. Si tratta di un rito antichissimo che si celebrava già prima del soggiorno del popolo ebraico in Egitto, ma che, comunque, era intimamente connesso all’alleanza che Dio aveva stretto col suo popolo eletto. Israele celebra questa festa come il passaggio dalla schiavitù alla libertà (prima lettura). Il vangelo ci presenta l’amore smisurato del redentore che offre se stesso in sacrificio: “dopo aver amato i suoi li amò sino alla fine”. Cristo sta per immolare la sua vita sulla croce ed anticipa sacramentalmente il suo sacrificio: in questo modo, istituisce una nuova alleanza attraverso il suo stesso sangue. L’agnello pasquale è ora egli stesso che, obbedendo alla volontà del Padre, si offre in riscatto per ogni essere umano. Egli è venuto per servire, Egli è il maestro, colui che ci spieca e ci dimostra che l’amore cristiano non può avere limiti, (vangelo). La lettera di Paolo ai Corinzi ci offre la tradizione più antica dell’Eucaristia. Gesù ordina ai suoi discepoli di rispettare e ripetere questo gesto: “Fate questo in memoria di me” e, contemporaneamente, vincola questa liturgia: con essa “voi annunziate la morte del Signore finché egli venga”, (seconda lettura). Messaggio dottrinale
1 – L’agnello pasquale. Nella cena si doveva consumare l’agnello pasquale, un animale senza difetto, maschio, di un anno, di pecora o o di capra. Il suo sangue doveva essere asperso sugli stipiti e sull’architrave della casa, ad indicare la salvezza che era stata accordata ai primogeniti d’Israele. Gli israeliti dovevano mangiare in piedi, con i fianchi cinti, il bastone in mano, i sandali ai piedi: come in impellente sollecitudine, come in procinto di partire. Era la Pasqua del Signore. Questo rito doveva essere celebrato e tramandato di generazione in generazione.

Nella pasqua cristiana è Cristo stesso l’agnello che si immola per la salvezza degli uomini. Qui anche si realizza un passaggio dalla schiavitù alla libertà, ma i termini si fanno più profondi: dalla schiavitù del peccato il Figlio di Dio fatto uomo ci conduce alla libertà della grazia dei figli di Dio. Il Creatore dell’Universo versa il proprio sangue sulla croce per liberare noi, sue creature dalla morte e dal peccato. Si offre in olocausto per stabilire una nuova e definitiva Alleanza con gli uomini. In molte occasioni e in molti modi Dio aveva parlato agli uomini, attraverso i profeti, ma ora lo fa per mezzo del suo amato Figlio. Gesù descriveva il suo stesso cuore, quando diceva: “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Melitón di Sardes in una pregevolissima pagina sulla Pasqua commenta: “Egli [Cristo] è colui che ci ha riscattati dalla schiavitù per condurci alla libertà, che ci ha portati dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al Regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo ed un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza” (Omelia sulla Pasqua). 2 – La lavanda dei piedi. Il gesto di lavare i piedi va oltre il semplice atto esemplare. Si può dire che è una specie di paradigma della missione e dell’opera redentrice di Cristo. Il Signore ci purifica dei nostri peccati, cancella le nostre colpe, lava con il proprio i nostri delitti e ci conduce al Regno del Padre. La sua misericordia si riversa eternamente sulla nostra esistenza di peccatori. Lavando i piedi ai suoi discepoli, Gesù fa palese la necessità dell’uomo di purificarsi, la necessità della salvezza, e anticipa loro che è grazie al mistero pasquale della sua morte e resurrezione che essi saranno liberati dalla schiavitù dei loro peccati. Suggerimenti pastorali
1 – L’amore per l’Eucaristia. Una delle cerimonie liturgiche più amate dei fedeli è la processione col Santissimo fino al luogo della reposizione, e la susseguente adorazione eucaristica. Sia i bambini, sia i giovani o gli adulti, partecipano a questa liturgia con sentimenti di commozione, sensibilizzati dalla bellezza e dalla profondità della celebrazione della Cena del Signore. Si mescolano qui sentimenti di compassione, di gratitudine, di amicizia con Cristo, col desiderio di accompagnarlo nei momenti più intimi della sua sofferenza umana. Si tratta di un’opportunità assai valida per accrescere il proprio amore personale a Gesù Cristo Eucaristia, che ha voluto rimanere con noi per alleviare il nostro cuore nella solitudine delle nostre battaglie e dei nostri dolori. Conviene, per ciò, favorire la partecipazione dei fedeli alla processione preparandola nei minimi particolari e con canti eucaristici appropriati. Prepariamo con cura e attenzione anche il “sepolcro”. Adorniamolo di fiori con arte e buon gusto. Coinvolgiamo in questa preparazione i bambini e i giovani della nostra parrocchia, perché tutto ciò costituisce la migliore catechesi eucaristica. Sarà molto appropriato prolungare l’adorazione eucaristica nel corso della notte. Sappiamo per esperienza che molti fedeli in questa notte entrano nelle chiese per venire a incontrare Gesù. Magari c’è chi non lo fa da anni, ma forse, proprio oggi, si sentirà invitato a farlo. Di solito, fanno una specie di esame, di sintesi della propria vita, vengono ad esporre al Signore le proprie pene, le proprie allegrie, le proprie sofferenze, tuttò che hanno vissuto e realizzato. Cogliamo quest’ottima occasione per preparare una semplice e profonda ora eucaristica che commenti i momenti di Gesù nell’orto del Getsemani e che inviti tutti i presenti a scoprire l'”amico dell’anima”. Come il Curato di Ars, guardando all’altare, diciamo con commozione ai fedeli: “Egli sta lì”. 2 – In questa notte l’uomo è invitato a riconciliarsi con Dio. Oggi abbiamo l’opportunità di sperimentare in modo molto intimo che Dio è amore e che ha inviato suo Figlio a donare a ciascuno di noi la salvezza eterna. Perciò, l’invito offerto all’inizio della quaresima – “lasciatevi riconciliare con Dio” – trova in questa notte la sua espressione più alto. Oggi ci sono due apostoli che hanno atteggiamenti diversi: Giuda si dispera del suo peccato, Pietro si pente del proprio. Il sacrificio che Cristo sta per offrirci riconcilia noi figli col Padre, ma richiede la nostra condiscendenza, la nostra accettazione. “Il suo amore sovrabbondante ci salva tutti. Nondimeno fa parte della grandezza dell’amore di Cristo non lasciarci nella condizione di destinatari passivi, ma coinvolgerci nella sua opera salvifica e, in particolare, nella sua passione”, (Incarnationis Mysterium, 10). Così, l’uomo che ritorna all’amicizia con Dio scopre un nuovo significato per la propria vita. Ormai più nulla gli è indifferente, e inizia a comprendere più a fondo il senso della sua stessa esistenza. Si sente responsabile per l’uomo e per il suo destino, per il mondo. Sente che, in qualche modo, l’essere umano, uomo e donna, è stato raccomandato alla sua attenzione. Apprezza ogni giorno più e meglio il valore del tempo in confronto all’eternità. Incomincia a scorgere il senso del dolore, delle sofferenze e delle contrarietà della vita e, soprattutto, il senso della morte, il tramite dell’incontro definitivo col Signore. Egli, riconciliato con Dio e con se stesso, si trasforma in un dono di Dio per gli altri e in strumento di riconciliazione e salvezza per i suoi simili.

Totustuus

da: www.qumran2.net

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *